
Sergio Beccio – Consulente industriale, fotografo, scrittore (a volte)
Il “Buco di Viso”, la prima galleria delle Alpi realizzata oltre cinque secoli fa, fu un capolavoro dell’ingegneria del tempo.
Oggi è ancora attraversabile ed è inserito in un vero e proprio santuario della natura all’interno del massiccio del Monviso.
L’intervista a Sergio Beccio, autore del recente libro “Il Buco di Viso”, è un’occasione per approfondire la storia e le vicende di un’opera che affascina e avvalora il concetto che le montagne e le valli non sono mai state barriere invalicabili ma punto di incontro dei popoli alpini.
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Sergio Beccio è nato a Torino, vive a Paesana. E’ stato consulente nel settore dell’aerodinamica sperimentale collaborando con primarie realtà del settore automotive.
Primo Presidente del Sistema delle aree protette del fiume Po – tratto cuneese, Ente strumentale della Regione Piemonte, Presidente dell’ISCA (Istituto superiore di cultura alpina) associazione culturale con sede ad Ostana che ha prodotto alcuni volumi di storia e cultura popolare del territorio alpino della valle Po.
Fotografo per passione della montagna cuneese, è stato curatore di diverse mostre fotografiche sulla storia della strada militare Crissolo-Pian del Re, la storia di Alessandra Boarelli prima donna a scalare il Monviso e diverse mostre sull’architettura alpina.
Sergio, inizierei la nostra chiacchierata chiedendoti quali sono le motivazioni personali che ti hanno spinto a scrivere “Il Buco di Viso”
Sono stato il primo presidente del parco fluviale del Po e propositore con Gianni Allisio (un caro amico e collega di Oncino, lavoravamo al centro stile Pininfarina allora) del Parco internazionale Monviso Queyras negli anni tra il 1978 e il 1982.
Il Monviso, nell’ambito delle Aree protette, fu da me fatto inserire perché il Parco del Po doveva arrivare fino a Martiniana Po (era in funzione delle competenze dell’Autorità di Bacino). Dopo Pininfarina sono stato in Italdesign da Giorgetto Giugiaro costruendo una mia visione di design territoriale legato ad una valorizzazione delle emergenze e una loro promozione in modo scientifico e capace di determinare un interesse vero sia per il turismo ma anche come orgoglio delle proprie radici per la gente del territorio. Quindi è uno dei molti argomenti che possono determinare una identità e una curiosità che potrebbe stimolare approfondimenti e ricerche in molti campi storici, geologici e sociologici utili a dare un senso al passato e obiettivi alti per il futuro.
Il volume vuole essere anche un contributo per gli operatori del territorio che devono rispettivamente saperlo raccontare e rispettare e per gli amministratori che devono saperlo modernamente valorizzare ed eventualmente evolvere mirando più che allo sviluppo al progresso.
Il libro è nato quasi in contemporanea con la realizzazione dell’opera “Oltre” dello scultore Michelangelo Tallone che ha significati rivolti alla eliminazione dei confini e alla nascita di una nuova fratellanza e condivisione degli aneliti di pace che i popoli hanno malgrado la storia, la finanza e i costruttori di armi che continuano a provocare guerre, disastri, carestie e atti di una disumanità inquietanti…
Quali sono le ragioni storiche che hanno motivato la decisione di realizzare il traforo ?
Per ragioni politiche, il Marchese di Saluzzo (Ludovico II, ndr) doveva rafforzare la sua indipendenza trovando e rafforzando la sua alleanza con i francesi (Luigi XI) per difendersi dall’espansionismo dei Savoia.
Naturalmente c’erano altri motivi quali la necessità di trovare degli sbocchi commerciali e la possibilità di importare soprattutto il sale, prodotto strategico per quei tempi.
Oltre al sale si importavano dalla Francia tessuti, metalli e cavalli. Si esportava dall’Italia olio di noce, vino, riso, canapa e altri prodotti della terra.
Le motivazioni culturali del tempo non erano forti anche se la lingua d’oc era comune tra le popolazioni italiane e francesi. Sicuramente il Buco di Viso soddisfò anche una richiesta delle comunità che avevano in qualche modo bisogno di questo collegamento che permetteva scambi ed emigrazioni stagionali fatte in sicurezza in un’ottica di un sostegno economico anche del commercio locale.
Di turismo allora sicuramente non si parlava.

Il Buco di Viso stupisce per l’altezza a cui è stato realizzato (quasi tremila metri) e per il fatto di rappresentare il primo traforo alpino terminato nel 1480, realizzato esclusivamente con l’ausilio di “martelli e punteruoli”. Qual è la valenza, dal punto di vista tecnico, di un’opera cosi’ difficile da realizzare per i tempi di allora, i supporti a disposizione e il luogo?
L’opera è sicuramente significativa per i tempi, le analisi geometriche del tunnel hanno rilevato che il traforo è stato effettuato in modo estremamente preciso (pare ci sia stato un errore di soli 20 cm di scostamento tra le due gallerie nel punto di incontro). Le dimensioni del tunnel erano tali da permettere il passaggio dei muli con le gerle ai fianchi a dimostrazione degli scopi per cui era stato concepito.
La tecnica era semplice con scalpelli a pacchetto di ferro e ghisa. L’avanzamento di circa un metro alla settimana ha permesso, grazie anche a una manodopera sicuramente abile e determinata, di raggiungere l’obiettivo di costruire il traforo nei tempi definiti e ad una quota dove le stagioni sono particolarmente brevi.
Probabilmente con poco legno e ancor meno aceto di quanto stabilito nel contratto data la quota del cantiere. I supporti sono sicuramente stati degli approvvigionamenti e crediamo che gli operai abbiano stazionato in quota proprio per ottimizzare i tempi di lavorazione con brevi pause di lavoro. La scelta della faglia da attaccare invece pare sia stata fatta in modo molto attento per trovare i punti più attaccabili della parete: sia come durezza della pietra che come lunghezza di scavo da operare.
Vorrei soffermarmi sulla riflessione che, se non ho inteso male, è stata fonte ispiratrice del tuo libro: le montagne e le valli non sono mai state barriere invalicabili ma punto di incontro dei popoli alpini.
Tutti i passi alpini, tra cui il passo delle Traversette, sono stati nel tempo punto di incontro e di scambio tra i popoli. La lingua d’oc, l’occitano, è stato il forte legame che ha unito i popoli alpini di queste valli.
Il Buco di Viso è stato luogo di passaggio per eserciti francesi e spagnoli, per i commerci, per emigranti in cerca di fortuna, per fughe anche politiche, contrabbandi ben organizzati, ritorni dal lavoro invernale dal sud della Francia. Oggi può diventare sicuramente un punto di incontro dove scambiare cultura, incontro per un nuovo turismo, per l’alpinismo del Monviso.
Secondo me è un luogo simbolo che può idealizzare quel senso di fratellanza alla ricerca di una pace sempre più necessaria in Europa.
Qual è l’importanza dei lavori di sistemazione del Buco terminati nell’ottobre del 2014? Un incoraggiamento per il passaggio delle cosidette “merci immateriali” per gli anni a venire?
A seguito della costituzione del sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po tratto cuneese, il cosiddetto Parco del Po si concretizza in un programma di valorizzazione della zona del Monviso. Il Sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po – tratto cuneese (oggi divenuto Parco del Monviso) e la Regione Piemonte hanno voluto restaurare completamente la galleria ed effettuare una accurata indagine archeologica che ha permesso di caratterizzare questa opera e di proporre un restauro con interventi volti alla sicurezza di coloro che vi transitano.
La ricerca e gli interventi manutentivi sono stati finanziati dalla Regione Piemonte con la compartecipazione della Direzione Regionale per gli Affari Culturali della Regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra e con il sostegno del comune di L’Argentiere-La Bessée; ufficialmente, la conclusione dei lavori è stata festeggiata il 15 ottobre 2014.
Questo intervento su una struttura storica, per quanto criticato, ha cercato di ottimizzare le possibilità di fruizione allungando la stagione di utilizzo del Buco di Viso, ha tentato di migliorare la sicurezza e l’agibilità in vista di flussi turistici che col Giro di Viso e le escursioni sulle tracce dell’alpinismo del Monviso portano sempre più visitatori sul territorio.
Forse ha nuovamente attirato l’attenzione verso quest’opera e ha rinnovato i motivi per vederla, visitarla e comunque parlarne anche commentando la visionarietà che ebbe Ludovico II nel concepirla.

Buco di Viso – Ingresso lato francese
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