I dialoghi di Cammino Libero

Luca Mercalli – Meteorologo, climatologo e divulgatore scientifico

Ho avuto l’opportunità di partecipare all’evento “Clima Talk” svoltosi venerdì 5 agosto a Corvara in Val Badia.

Come indicato dal titolo, si è trattato di un’intervista (o meglio di un dialogo…) a Luca Mercalli condotta da Michil Costa, Presidente Maratona dles Dolomites, imprenditore e uomo di natura.

Più di un’ora di spunti e riflessioni molto interessanti e coinvolgenti partendo dalle motivazioni che hanno convinto Mercalli a ristrutturare una vecchia baita in montagna per andarci a vivere e spaziando poi sul tema del cambiamento climatico, così attuale e in fondo alla base di una scelta di vita testimoniata nel libro “Salire in montagna”.

Luca Mercalli (Torino, 1966) è climatologo, master in scienze della montagna all’Université de Savoie-Mont-Blanc, direttore della rivista Nimbus, presiede la Società Meteorologica Italiana, associazione nazionale fondata nel 1865. Si occupa di ricerca su climi e ghiacciai alpini, insegna sostenibilità ambientale in scuole e università in Italia. Ha lavorato a più riprese per la RAI, è editorialista per Il Fatto Quotidiano e ha al suo attivo migliaia di articoli e oltre 2600 conferenze.

Ho ricevuto da Mercalli l’autorizzazione a divulgare il contenuto dei punti salienti dell’intervista che ho il piacere e onore di condividere con i lettori di “Cammino libero”.


La prima domanda “secca” (in linea con il periodo che stiamo vivendo…) è legata al cambiamento climatico: Luca, non ti sembra che siamo sul Titanic…stiamo ballando, cantando…ma non ti sembra che facciamo un po’ poco?

Certo che facciamo un po’ poco, facciamo poco da molti anni. Quest’anno è il trentennale del “Summit della Terra” che si tenne a Rio de Janeiro nel giugno del 1992. Il Summit fu la prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull’ambiente, un evento senza precedenti anche in termini di impatto mediatico e di scelte politiche in cui si condivise la minaccia del cambiamento climatico e la cura da attuare.

Cura che non è stata fatta, si è chiacchierato molto e nel frattempo sul Titanic si è aperta la falla, lo scafo si è inclinato…continuiamo a ballare e cantare a bordo ma almeno qualcuno sta cercando la scialuppa e il libro di cui parliamo è una scialuppa.

La notizia buona è che non andremo a sbattere con l’iceberg perchè nel frattempo si sarà sciolto…

In realtà ciò che ci preoccupa molto è la Groenlandia perchè quello che è successo in piccolo qui da noi nel ghiacciaio della Marmolada in Groenlandia succede in grande, si staccano colossali lembi dei grandi ghiacciai e ciò fa aumentare il livello del mare.

In Groenlandia il ghiaccio è spesso in media 2000 metri, se fondesse tutto gli oceani del nostro pianeta aumenterebbero di 7 metri…per Corvara non sarebbe un problema…per Venezia sì!

Parliamo del tuo libro che, abbiamo detto, è una scialuppa di salvataggio. E’ una storia bellissima di due persone che fanno una scelta di vita, un risultato fruttuoso sia a livello individuale che a livello collettivo. Nel libro si afferma che chi andrà a vivere e lavorare in montagna vivrà due vite, quella professionale e quella contemplativa e l’aria più pulita gli allungherà la vita biologica. Il messaggio è di fiducia ma nello stesso tempo si sottolineano i problemi e gli ostacoli che hai incontrato a livello burocratico e amministrativo…

Aiuti dal punto di vista amministrativo non ce ne sono stati tant’è che ho intitolato un paragrafo “I quattordici ottomila della burocrazia senza ossigeno”. Bisogna scalarli tutti per ottenere il mitico timbro finale per l’apertura del cantiere e parliamo solo di una ristrutturazione, di recupero di vecchie abitazioni che ci lamentiamo che cadono a pezzi.

Ci sarebbe tantissimo lavoro da fare per recuperare un patrimonio architettonico e paesaggistico che interessa oltre alle Alpi anche l’Appennino. Purtroppo osserviamo amministrazioni che approvano più facilmente la costruzione di un capannone industriale piuttosto che agevolare la ristrutturazione di vecchie case collocate in borgate alpine e collinari. Sembra che tutto sia pensato per scoraggiare piuttosto che incoraggiare questi interventi.

Manca una visione comune, una vera volontà di recuperare borgate alpine che stanno languendo da decenni di incuria e abbandono.

Ci vuole anche coraggio ad affrontare questo immobilismo burocratico…

Sovvenzioni specifiche per questo tipo di ristrutturazioni non ce ne sono. Il 65% di sgravio fiscale per la riqualificazione energetica è servito moltissimo ma non è un provvedimento per la montagna.

Parliamo nel mio caso di una montagna di confine, alta Val di Susa, un po’ più trascurata delle Dolomiti. Sono le montagne che hanno subito profondamente lo spopolamento dopo il secondo dopoguerra. Sono le montagne dove Nuto Revelli raccoglie le testimonianze negli anni 70 degli abitanti ultimi di queste borgate nel famoso libro “Il mondo dei vinti”. Leggendolo capiamo cosa bisogna ricostruire oggi, non solo le case con metodi rispettosi del clima e dei consumi energetici ma bisogna ricostruire anche una cultura e una società che sono andate perdute.

Qui nelle Valli Dolomitiche si sta cadendo nell’estremo opposto, da luoghi spopolati, dimenticati, marginalizzati a luoghi che cominciano a soffrire del loro stesso successo…io penso che dovremmo trovare una sintesi tra questi due estremi ed è anche il motivo per cui ho scritto il libro.

In realtà i motivi sono due.

Il primo è legato alla volontà di scrivere un libro narrativo che coinvolgesse dal punto di vista emotivo, a differenza di molti miei saggi scritti in precedenza. Ho voluto raccontare la mia fuga dal caldo attraverso la migrazione verticale in quota per parlare e convincere dei problemi dei cambiamenti climatici attraverso una storia personale, più intima perchè certe volte i pensieri passano più con questa modalità piuttosto che con numeri o grafici.

Il secondo motivo vuole un po’ essere un manifesto per la montagna italiana, per il recupero delle borgate alpine.

Oltre al manifesto tu indichi anche una lista delle cose da non fare…

Non installare illuminazione pubblica invasiva di tipo urbano è la prima cosa da non fare. Troppa luce, non vediamo più le stelle. C’è la stupida aspettativa che illuminare aumenti la sicurezza ma le statistiche ci dicono il contrario.

Per una questione di sicurezza vengono asfaltate le passeggiate in montagna…

Stiamo artificializzando il nostro mondo e la montagna rischia di diventare sempre più simile a una periferia urbana.

Pochi giorni fa è stato presentato l’annuale rapporto sul consumo di suolo, realizzato dall’Ispra che è un ente del governo italiano che si occupa di ambiente.

In Italia 2,1 mq di suolo al secondo finiscono sotto l’asfalto e il cemento. Si tratta di un cancro che si sta estendendo ovunque e ci ruba per sempre il suolo che potrebbe essere utilizzato per altre cose garantendo biodiversità, coltivazioni, piante che catturano la CO2 e rappresentano la bellezza del paesaggio.

Purtroppo il 7% del nostro territorio è cementificato, sembra poco ma è uguale alla superficie dell’Emilia Romagna ed è soprattutto il territorio dove viviamo tutti i giorni.

I progetti che sono in corso sono folli, la stessa Regione Lombardia che ha già il primato del consumo del suolo vuole ampliare i propri aeroporti. Il consumo del suolo è così importante che dovrebbe essere al centro della politica di un paese, con la cementificazione noi stiamo distruggendo il suolo, l’agricoltura, l’equilibrio idrogeologico contrabbandata dal fatto che porta lavoro ma il lavoro non è tutto buono…come se il lavoro in un polo logistico fosse un bel lavoro…

Dentro il libro c’è il pensiero “avanti c’è posto”, abbiamo una montagna italiana disabitata ma bisogna mettere il limite oggi per domani.

Il limite è facile, è una proposta di legge di una sola riga, un solo articolo, niente commi: si ristruttura solo l’esistente e non si costruisce nemmeno un metro quadro di cemento in più. Questo è il paletto fondamentale.

In molte valli italiane siamo pieni di borgate e paesi letteralmente disabitati, recuperiamo tutto ciò che sta cadendo a pezzi ma con questa regola. La mia stima è che c’è posto per 4/5 milioni di persone che dalla città possono oggi andare a vivere e lavorare in montagna grazie a Internet che è la grande novità sdoganata anche dalla pandemia.

Internet con il telelavoro oggi ci permette di spostare tante nuove professioni in montagna che prima non potevano essere collocate in queste zone perchè avevamo tutti la visione che la montagna era periferica, marginale, che le cose importanti del mondo potevano accadere solo nelle grandi città. Oggi moltissime prerogative della città, la socialità, la cultura…le posso avere anche attraverso la Rete.

Tu dici sì alla tecnologia in montagna ma allo stesso tempo affermi che il futuro della montagna non è un parco giochi. L’esempio sono le olimpiadi di   Torino 2006 che sono costate 3 miliardi e mezzo di euro, quante borgate alpine avremmo potuto ristrutturare per sempre con quelle risorse?

Ho invitato i responsabili delle prossime olimpiadi di Milano-Cortina a venire a dare un’occhiata a ciò che è rimasto in Val Chisone e Valle di Susa dopo il 2006. Sono rimaste macerie. Le opere a corredo degli eventi olimpici sono state molto invasive, vedi ad esempio il trampolino di Pragelato oppure la pista da bob di San Sicario. Abbiamo abbattuto un lariceto secolare, abbiamo scoperto una necropoli neolitica alpina di 7.000 anni fa che nessuno sapeva esistesse ma l’abbiamo poi ricoperta di cemento.

Dopo 15 giorni di utilizzo, come era nelle attese, queste infrastrutture sono cadute in declino e oggi sono un cumulo di detriti che hanno devastato un pezzo di paesaggio alpino. Quale è stato il lascito di questo evento per le nuove generazioni?

Questo dovrebbe essere un monito per le prossime olimpiadi ma invece si deve sempre fare del nuovo, costruire nuovi impianti, opere molto costose in cambio di una manciata di lustrini e fuochi artificiali per 15 giorni ma poi finisce tutto ma paghiamo noi, paga il territorio.

La montagna in tutta la sua bellezza originatasi in milioni di anni ogni tanto ci dà dei segnali, ultimo ancora vivo e visibile la tragedia della Marmolada. Ti chiedo…ma la montagna è assassina?

La montagna è indifferente all’uomo, siamo noi che andiamo a frequentarla e abbiamo bisogno di prendere le giuste precauzioni.

Parlando di ghiacciai…da sempre sono ritenuti luoghi pericolosi, misteriosi, una sorta di minaccia per le popolazioni alpine.

L’evento sulla Marmolada è stato un episodio inatteso, parossistico, un episodio imprevedibile che si è sviluppato in pochi secondi.

Faccio il glaciologo da 35 anni e da subito dopo le prime foto della tragedia ho affermato che anch’io potevo trovarmi nel luogo in cui c’è stata la disgrazia e ci sarei andato convintamente.

Il caldo non era sufficiente come elemento predittore, è molto facile dare una risposta a posteriori di questo evento. Il 3 luglio faceva caldo su tutte le Alpi, quanti ghiacciai sono caduti in quel giorno sulle Alpi? E’ caduto solo il ghiacciaio della Marmolada, uno su 4.400 ghiacciai.

Era sufficiente affermare che faceva caldo? Se ne fossero caduti altre decine allora il caldo poteva essere considerato un elemento predittivo del pericolo e avrebbe potuto giustificare la chiusura delle vie e delle zone prospicienti i ghiacciai.

Ne è caduto uno, la sfortuna ha voluto che fosse un ghiacciaio su una via molto frequentata, alle ore 13.45 di una domenica d’estate.

La montagna non è assassina. Sembra che questo evento in quel luogo, in quel momento, abbia voluto dare un segnale, un monito agli stolti umani per spingerli a comprendere quali sono i problemi legati ai cambiamenti climatici ed effettivamente questa notizia ha fatto il giro del mondo.

C’è un capitolo molto bello del tuo libro dove dici “ci siamo dimenticati della contemplazione”. Siamo in un’epoca in cui sembra solo importante “il fare”…

Io voglio recuperare il concetto della contemplazione che significa usare altri sensi che abbiamo un po’ disimparato ad utilizzare, sensi quieti come la vista, l’udito, l’olfatto e soprattutto il cervello che ci sta dietro.

Nella società di oggi abbiamo un’estensione che ci viene regalata dalla tecnologia, oggi se voglio sapere la storia del ghiacciao della Marmolada posso con il cellulare scoprire tutto, scaricare libri, le fotografie, i lavori scientifici degli scienziati che ci hanno lavorato.

La contemplazione è fatta di piacere e di apprendimento. Io vorrei rivalutarla versus quel formicolare senza sosta di tutti quelli che vanno in montagna solo per misurare la loro prestazione in un’ottica competitiva.

La contemplazione è un valore virtuoso che non ci mette uno contro l’altro.

L’ultima domanda riguarda il lupo: ci sono delle problematiche parlando di lupi, vedi Alto Adige e non solo, eppure tu sostieni che un po’ più di lupi servirebbero a riequilibrare gli eccessi faunistici. Ci spieghi cosa intendi?

Non faccio lo zoologo e non sono un esperto di fauna selvatica ma quello che mi dicono i miei colleghi che si occupano di questo argomento è che noi abbiamo sterminato alcune specie per motivi culturali un paio di secoli fa, il lupo e l’orso sono sempre stati visti come dei grandi antagonisti dell’uomo anche se i danni che facevano erano modesti…la zanzara fa molti più danni portando malattie terribili.

Ci sono sicuramente dei problemi pratici di convivenza con il lupo per gli allevatori di bestiame. Si stanno affinando dei metodi di coesistenza, ad esempio i pastori maremmani che sono situazioni di gestione del territorio anteponendo dei cuscinetti, dei diaframmi.

Abbiamo molti problemi da affrontare e tra questi non hanno priorità sicuramente nè il lupo nè l’orso. In qualche caso queste specie possono fare un’azione molto benefica verso squilibri che si sono creati in passato.

Nelle nostre Alpi Occidentali il vero problema è che non crescono più nuovi alberi di latifoglie o conifere perchè non avendo più i lupi o gli orsi che divorano l’eccesso di caprioli, cervi o cinghiali queste specie mangiano le giovani gemme dei nuovi alberi e non abbiamo più il naturale rinnovamento di piante nei nostri boschi.

Forse se il lupo ci toglie di mezzo un po’ di caprioli siamo contenti, fa lui il lavoro sporco e mi trovo alla fine il giusto numero di caprioli, di lupi e di frassini.

P.S.: la foto di Luca Mercalli (nella sua casa di Vazon) in prima pagina è tratta da un’intervista a Mercalli del Touring Club Italiano del 1 febbraio 2021

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